A volte la storia della musica dispensa delle sorprese, nel senso che spulciando le biblioteche e gli archivi, soprattutto quelli del cosiddetto “Bel Paese”, saltano fuori manoscritti di composizioni di autori poco o punto conosciuti che meritano però di essere “resuscitati” e messi a disposizione non solo per gli studiosi e gli appassionati, ma anche per tutti coloro che amano sapere che l’arte musicale è frutto non solo dei sommi, dei grandi, ma anche di molti, moltissimi buoni ed eccelsi musicisti che il calderone del tempo, per un motivo o per un altro, ha deciso ingiustamente di “cestinare”.

Tra i tanti che attendono ancora una debita riscoperta, soprattutto per quelli che vissero e operarono in quel pressoché inesauribile serbatoio musicale che fu il Barocco, vi è anche uno sconosciuto (almeno fino ad oggi) compositore bergamasco, Carlo Lenzi, vissuto tra il 1735 e il 1805, ossia in quella fase di passaggio che dal cuore del Barocco porta l’Occidente musicale a confrontarsi con il Classicismo, in attesa che il Romanticismo, da lì a poco, bussasse alla porta del tempo. Lenzi per quarant’anni fu maestro di cappella della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, dopo essersi formato musicalmente a Napoli. Il suo ruolo di maestro di cappella nella città lombarda per quattro decadi se da un lato gli garantì un lavoro e uno stipendio sicuri, dall’altro, obbligandolo a non abbandonare quasi mai il centro orobico per via dei numerosi e gravosi impegni, non gli permise di far conoscere la sua musica al di fuori dei ristretti confini del territorio bergamasco. Proprio il fatto di non essersi fatto un nome al di là della sua terra è da ritenersi decisivo per la scomparsa della sua musica dopo la morte, avvenuta proprio a Bergamo, dopo aver trascorso gli ultimi anni della vita completamente cieco.

E se ora parliamo di lui lo dobbiamo dapprima a un lungimirante musicologo, Giuliano Todeschini, il quale nel 1984 elaborò la sua tesi di laurea proprio sulla vita e sull’opera di Lenzi, dopo aver scovato molte partiture di musica sacra, e l’anno successivo scrivendo una monografia, e poi a un altro studioso, Raffaele Mellace, il quale collaborato con l’Ensemble Autarena che ha registrato questo disco che, oltre a presentare due Sonate da chiesa (la Prima e la Terza) e due Lamentazioni del compositore orobico, ha inciso anche due Sonate da chiesa di Mozart, la KV225 e la KV245, e il mottetto Exultate jubilate di Mozart, opere che il sommo salisburghese compose tra il 1773 (il mottetto, tra l’altro durante la sua permanenza a Milano, dove auspicava di diventare maestro di cappella) e tra il 1776 e il 1780 nella sua città natale. E se le opere mozartiane danno la cifra, la misura di una genialità che trova respiro in un costrutto nel quale l’arditezza armonica non è mai disgiunta dallo squisito impianto melodico, quelle di Lenzi, pur non raggiungendo le vette e i picchi di un equilibrio sublime, vantano proprietà e prerogative tali da non farlo sfigurare, con una tessitura del canto variegata e ricca di spunti virtuosistici, così come da una scrittura strumentale che non è mai fine a se stessa nell’ambito delle funzioni per le quali era preposta. Sia ben chiaro, la passione, l’entusiasmo, l’applicazione esecutiva che l’Ensemble Autarena, diretto da Marcello Scandelli, e la voce del giovane soprano Francesca Lombardi Mazzulli rappresentano un validissimo supporto, capace di esaltare le opere lenziane e di affrontare con il giusto cipiglio e l’adeguata sensibilità interpretativa quelle mozartiane.

Buona anche la presa del suono, effettuata nella Nuova Chiesa di San Massimiliano Kolbe a Bergamo, con una dinamica sufficientemente energica e naturale e con un soundstage che ricostruisce fedelmente lo spazio dell’evento sonoro.

Andrea Bedetti

Carlo Lenzi & W.A. Mozart – “Sacred Music in Lombardy 1770-1780”

Francesca Lombardi Mazzulli (soprano) – Ensemble Autarena – Marcello Scandelli

CD Pan Classics PC 10364

Giudizio artistico: 4/5

Giudizio tecnico: 3/5