Questo disco presenta la registrazione dell’esecuzione dal vivo di un concerto che la pianista cosentina Giusy Caruso ha tenuto l’11 dicembre 2014 in un luogo speciale, nell’abitazione di uno dei più straordinari ed enigmatici compositori del Novecento, Giacinto Scelsi, che si trova in una delle zone più belle di Roma, visto che si affaccia sull’area del Palatino considerata dagli antichi Romani magica e misterica, e che è stata trasformata, dopo la morte del musicista, avvenuta nel 1988, nel Museo Casa Scelsi a cura dell’attuale Fondazione Isabella Scelsi, centro di studi e di ricerche consacrati alla musica contemporanea. Il concerto-progetto di quella serata, intitolato “Nella Sfera del Suono, crocevia di mondi”, verteva sulle composizioni pianistiche, eseguite sul Bechstein appartenuto allo stesso Scelsi, di tre autori contemporanei, ossia la Suite n. 9 “Ttai” di Scelsi (composta nel 1953), Terracromìe (2011) del compositore pugliese Biagio Putignano, e Due intermezzi (1983) e Son’Ora (2014) di uno dei decani della musica contemporanea italiana, Davide Anzaghi. La Suite di Scelsi, come quasi ogni altra opera del grande musicista, si pone un duplice obiettivo: l’incontro, apparentemente impossibile, tra le istanze estetiche occidentali con quelle orientali (il compositore ligure fu sempre affascinato e interessato alla cultura e alla spiritualità orientali) e la ricerca esasperante dell’essenza del suono prima ancora che la sua realizzazione fisica si tramuti in musica. Anche questa Suite, suddivisa in nove movimenti, rappresenta idealmente entrambi gli obiettivi che si concretizzano matericamente in un “ritmo” e in un “respiro” che la giovane interprete cosentina riesce a manifestare in modo dir poco ideale, sebbene a volte la precarietà del timbro espresso dal pianoforte “storico” appartenuto a Scelsi non l’aiuti in questo compito.

Il viaggio all’interno e all’esterno del suono continua poi con l’opera di Putignano, il quale ha voluto immergere la dimensione sonora in un impasto di colori squisitamente mediterranei (due delle tre parti della sua Terracromìe sono dedicate al rosso e all’azzurro), in cui la ricerca timbrica, che si tramuta anche in istanze percussive sul registro acuto dello strumento, vuole essere non solo un richiamo e un tributo al sentiero intrapreso in tal senso da Scelsi, ma anche un con-tributo a quello che è uno degli aspetti più affascinanti del rapporto che si viene instaurare, all’inizio del Novecento, tra musica e pittura (a partire dai rapporti intercorsi in tal senso tra Schönberg e Kandinskij e che proseguono fruttuosamente fino alle composizioni di Morton Feldman scaturite dall’osservare e studiare le opere pittoriche degli espressionisti astratti americani degli anni Cinquanta).

Da ultimo i Due Intermezzi e Son’Ora di Anzaghi. Qui la ricerca del suono si stempera in un processo di narrazione implosivo(primo intermezzo)/esplosivo(secondo intermezzo) basato su un binomio di immanenza e trascendenza timbriche (fondamentale il rapporto tra pesi e contrappesi di cui è disseminata la scrittura) che rende questi due brani un’esaltazione dell’equilibrio formale e che Giusy Caruso sa sapientemente evidenziare con un pianismo in cui le riflessioni apollinee e i desideri dionisiaci trovano sempre una loro ragione attraverso un tocco sulla tastiera che cangia instancabilmente nei territori della metaespressione. Nell’ultimo brano proposto, Son’Ora, in cui il compositore prevede che il pianista debba avvalersi espressivamente ed esecutivamente anche dell’apporto di piccole percussioni, mi piace pensare che sia non solo un esempio tipico della scrittura anzaghiana definita dall’autore “Codice compositivo pitagorico-seriale”, definito nella sua espressione sonora attraverso una ricerca basata sul rapporto tra altezze, suoni e intervalli, ma anche una sorta di omaggio alla pratica delle cosiddette Turqueries eseguite sui fortepiani di fine Settecento in cui l’interprete, oltre a suonare con la tastiera, manovrava dei piccoli piatti percussivi posti sotto lo strumento suonandoli con le ginocchia (come nel caso della Sonata n. 11 di Mozart, la celeberrima “Alla Turca”). Nel brano di Anzaghi, la ricerca proporzionale del suono, in cui le masse timbriche vengono manovrate timbricamente sulla base di precisi ordini matematico-musicali in cui si installano segmenti tonali, vede l’irruzione degli strumenti percussivi (anch’essi appartenuti a Scelsi) che segna l’approccio a nuovi confini (sfere) sonori, nei quali individuare ulteriori sviluppi formali. Anche qui l’esecuzione della pianista cosentina trascende la semplice rappresentazione/identificazione espressiva per calare l’ascoltatore in una scatola sonora, nella quale di volta in volta apre e chiude i lati che la compongono, dando vita a un labirinto musicale, in cui ogni azione pianistica/percussiva ha un suo valore in sé, oltre a rappresentare un elemento progressivo concatenato.

Più che discreta la ripresa sonora dell’evento, effettuata nel salotto di casa Scelsi, in cui la dinamica del pianoforte e quella degli strumenti percussivi è in grado di restituire in parte il palcoscenico sonoro e lo spazio in cui si propagano il suono.

Andrea Bedetti

Giudizio artistico: 5/5

Giudizio tecnico: 3/5

Giacinto Scelsi-Biagio Putignano-Davide Anzaghi – “Piano Works – Nella sfera dei suoni, crocevia di mondi”

Giusy Caruso (pianoforte)

CD Tactus TC 930001