Ermanno Wolf-Ferrari appartiene a quella pletora di musicisti che, spesso per motivi che rimangono misteriosi, vengono improvvisamente dimenticati dal contesto musicale al quale erano appartenuti fino a poco tempo prima. E per quanto riguarda il compositore veneziano (nato nel 1876 e morto nel 1948) questo discorso vale soprattutto per ciò che riguarda le opere liriche (e che rappresentano buona parte del suo catalogo), le quali sono letteralmente sparite dai cartelloni e dai programmi dei teatri musicali, a cominciare, naturalmente, da quelli nostrani. Le cose cambiano leggermente, per fortuna, per quanto riguarda l’ambito discografico, in quanto negli ultimi decenni ci sono stati degli interpreti, provvisti di una buona dose di coraggio, che hanno voluto registrare non solo alcuni lavori teatrali, ma anche quelli che appartengono al genere cameristico e a quello orchestrale.

I motivi che hanno portato il nome di Wolf-Ferrari e le sue opere a subire un imbarazzante “ostracismo” nelle sale liriche e concertistiche restano ancor più misteriosi se si tiene conto che questo compositore si mosse sempre nell’ambito di un linguaggio tonale dal quale non si discostò mai, essendo un risoluto oppositore della musica seriale e delle avanguardie. Questo lo portò a elaborare un tessuto musicale rientrante nel vasto alveo del tardoromanticismo europeo, ma contraddistinto anche da un’interessante vena melodica che si richiamava agli stilemi settecenteschi (e questo soprattutto nelle sue raffinate e squisite opere liriche) in nome di un “neoclassicismo”, che però aveva poco o punto a che fare con quello squisitamente stravinskijano.

Ma anche il Wolf-Ferrari strumentale non è da sottovalutare, anche se il musicista veneziano si dedicò al genere cameristico e orchestrale all’inizio e alla fine della sua attività compositiva e il disco che il Trio Archè (il quale, dopo la pubblicazione di questa registrazione, ha cambiato la sua denominazione in Trio Gustav, sempre con Francesco Comisso al violino, Dario Destefano al violoncello e con Olaf John Laneri che ha preso il posto di Francesco Cipolletta al pianoforte) ha inciso per la Brilliant Classics con i due Trii per pianoforte del musicista veneziano rappresenta un’ottima occasione per scoprire questo lato compositivo ancora poco conosciuto. I due Trii per pianoforte, il primo in re minore op. 5 e il secondo in fa diesis maggiore op. 7, furono scritti da Ermanno Wolf-Ferrari nel 1896, quando il musicista, poco più che ventenne, era ancora studente presso l’Akademie der Tonkunst a Monaco di Baviera, a quell’epoca diretto da Joseph von Rehinberger, che era stato a suo tempo un allievo di Mendelssohn. Ed è indubbio che dietro la scrittura di questi due lavori cameristici, e questo vale soprattutto per il primo, ci sia l’immagine nitida, “classica”, equilibrata del compositore amburghese, dal quale Wolf-Ferrari assimilò una concezione altamente “solare”, positiva (il che si riscontra quasi sempre nelle sue opere liriche, a cominciare dai capolavori I quattro rusteghi e Il segreto di Susanna), che andò a diluire, però, su una tessitura del tutto personale e che si riscontra, segno di un’indubbia maturità a discapito della giovane età, anche in questi due Trii.

Il compositore veneziano Ermanno Wolf-Ferrari.

Eppure, anche se furono composti praticamente nello stesso lasso di tempo (il primo tempo del Trio op. 7 addirittura prima del Trio op. 5) vi è una netta differenziazione tra le due opere e se si dovesse utilizzare una metafora letteraria con due autori austriaci dell’epoca, si potrebbe affermare che il Trio in re minore sta ai romanzi di Joseph Roth così come il Trio in fa diesis maggiore sta a quelli di Arthur Schnitzler, nel senso che se nel primo ad essere privilegiato è il contesto della “descrizione ambientale”, con una serie di immagini in cui domina un senso irrinunciabile dell’equilibrio formale (e questo lo si nota anche nel bilanciamento temporale dei quattro tempi che lo compongono), nel secondo a predominare è un’evidente instabilità timbrica e armonica, che si concentra nell’affascinante, smisurato primo tempo che dura quasi venti minuti, che porta a una scarnificazione della descrizione a vantaggio di un approfondimento psicologico da parte dei tre strumenti, anche se tocca spesso al pianoforte (e questo è un denominatore che accomuna entrambi i Trii) non tanto operare come “elemento di raccordo”, ma piuttosto come “commutatore dei piani sonori” che si alternano all’interno del costrutto musicale, dando modo ai due strumenti ad arco di ampliare, variare, addentrarsi nel filo narrativo della composizione.

E se il primo Trio vanta una dimensione che, come si è già accennato, rimanda agli stilemi mendelssohniani, ponendo somma attenzione a una “cantabilità” che sarà il marchio di fabbrica del Wolf-Ferrari operistico, nel secondo, come fa giustamente presente Umberto Berti nelle note di accompagnamento, si avverte una maggiore presenza del cuore stesso del tardoromanticismo germanico, e più precisamente a Max Reger, che rimanda necessariamente a un costrutto più articolato sul piano armonico (sempre il primo, lunghissimo primo movimento che vanta un continuo alternarsi di tempi e di strutture narrative), mentre i due movimenti successivi, il Largo e il Lievemente mosso e tranquillo sempre, ripresentano un’attenzione formale in cui predomina una volumetria espressiva degli strumenti maggiormente equilibrata.

Queste opere devono essere rese con un lirismo che non è mai fine a se stesso, ma in grado di far trasparire il sottile linguaggio armonico immaginato da Ermanno Wolf-Ferrari. Inoltre, il fraseggio deve avere le giuste “sospensioni”, impalpabili rallentamenti, evidenziando quel canto interiore che segue un filo tutto suo e che musicalmente dev’essere reso con un’agogica attentissima, frutto di una visione precisa di ciò che il musicista veneziano voleva lasciare intendere. Ed è indubbio che in ciò i tre componenti del Trio Archè sono riusciti in questo intento, confezionando una lettura capace di restituire tutto il fascino della musica del compositore veneziano (dopo un ascolto attento alla fine ci si può porre solo una domanda: come possiamo dimenticare un musicista come Ermanno Wolf-Ferrari?), grazie alla quale viene evidenziata quella “profonda semplicità” che anima la visione artistica di quest’autore.

Degna di nota anche la presa del suono da parte di Raffaele Cacciola: la dinamica è corposa, energica, veloce, con i tre strumenti che vengono delineati da un dettaglio convincente e ricco di fisicità. Semmai, si può avanzare un solo appunto, in quanto nella ricostruzione del palcoscenico sonoro, il pianoforte risulta essere timbricamente troppo avanzato rispetto ai due strumenti ad arco, con un conseguente leggero squilibrio nella riproposizione timbrica nell’equilibrio tonale.

Andrea Bedetti

 

Ermanno Wolf-Ferrari – The Two Piano Trios

Trio Archè

CD Brilliant Classics 95624

 

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 3/5