Il direttore e polistrumentista Giorgio Matteoli è l’artefice della riscoperta della figura e dell’opera del musicista barocco vercellese, al quale continua a dedicare studio e passione. Alla luce della recentissima registrazione discografica dedicata alle Antifone Mariane, ne abbiamo parlato con lui in questa intervista

M° Matteoli, come è sorto il desiderio in lei di studiare, divulgare e ora registrare opere di Francesco Antonio Vallotti? Quali sono gli aspetti artistici di questo compositore, ingiustamente dimenticato, che meritano di essere valorizzati?

Mi sono imbattuto per la prima volta nella musica di Vallotti oltre venti anni fa grazie a un mio amico organista, poi trasferitosi a Vienna: Maurizio Cavagnini. Padovano di adozione, Maurizio all’epoca era organista presso la Basilica di Santa Giustina. Come Maurizio, anche io ero piuttosto giovane, e in quel periodo il Veneto era all’avanguardia in Italia per la rinascita italiana della Musica Antica e per la riscoperta degli strumenti antichi; lo frequentavo spesso - vivendo a Milano - partecipando a varie produzioni come violoncellista barocco e continuista (all’epoca ero uno dei primi e uno dei pochi in Italia che avevano deciso di montare il budello; mi ero trasferito apposta al Nord per seguire scuole e corsi dedicati al violoncello barocco, in Lombardia e in Veneto). Rimasi letteralmente folgorato quando il mio amico-collega mi propose, per uno dei nostri concerti, la lamentazione per soprano e violoncello obbligato, e così iniziai a scavare in quel repertorio, riportando alla luce tutte le altre lamentazioni che giacevano un po’ dimenticate presso gli archivi della Basilica del Santo.

Il direttore e polistrumentista romano Giorgio Matteoli, al quale va il merito della riscoperta di Francesco Antonio Vallotti.

Fu una vera scoperta, ma neppure so per quale ragione  - di fatto - tenni per ancora molti anni quelle partiture “nel cassetto” riproponendomi, all’occasione giusta, di rieseguirle integralmente. A seguito di una serie di concerti pasquali nati dalla collaborazione con un altro mio amico e collaboratore, il cembalista e musicologo Luca Ambrosio, proposi dunque l’incisione integrale dell’inedito delle Nove Lezioni per gli Uffici delle Tenebre ad Amadeus, facendo ascoltare all’allora direttore Gaetano Santangelo la registrazione di uno dei nostri concerti. L’idea (e soprattutto la musica) piacque, e nacque così il mio primo progetto discografico integralmente dedicato a questo compositore. La cosa affascinante di questo ingiustamente negletto ma molto prolifico autore, oggi ai più noto solo per la sua opera teorica, è il felicissimo mix tra contrappunto e linguaggio operistico. Uno stile tardo barocco che vira, con i suoi trilli, l’andamento fiorito e terzinante della melodia, verso lo Stile Galante, mantenendo però sempre un’estrema sobrietà e rigore nella condotta polifonica delle parti. Decisamente una musica affascinante, vitale e (sebbene esclusivamente sacra) a suo modo energica e… “sensuale”; davvero mi stupisco come composizioni così belle e ricche di idee, melodie struggenti come quelle dell’Ora Pro Nobis da noi inciso in questo ultimo disco, possano essere state per così tanto tempo completamente dimenticate.

C’è una sorta di “maledizione” che colpisce coloro che nella storia della musica colta occidentale sono stati dei grandi teorici, come nel caso, oltre che lo stesso Vallotti, di Gioseffo Zarlino e Giovanni Battista Martini, i quali sono stati anche degli eccelsi compositori, ossia capaci di attuare fattivamente una scrittura musicale desunta dalle loro opere teoriche. A suo avviso, per quale motivo chi è conosciuto come un grande teorico sovente non vede riconosciuta anche la sua arte compositiva?

C’è stato lo zampino della Chiesa. In realtà alla sua epoca, e anche immediatamente dopo, Vallotti fu incredibilmente famoso come compositore. Un vero modello. I suoi funerali furono memorabili tanta fu la massa di persone che vi partecipò. Lo stile di Mozart ne restò influenzato e persino Verdi si vantava di aver studiato sui suoi bassi. Il bigottismo della Riforma Ceciliana di fine Ottocento lo etichettò come compositore “barocco”, dunque effimero, superficiale, e questo nonostante non avesse scritto una sola composizione profana e fosse un contrappuntista formidabile, osservato ed estremamente rigoroso. Fu così che la sua opera venne cancellata: i suoi brani non più eseguiti nelle basiliche venete. Oggi Vallotti è conosciuto solo come teorico per il suo sistema di accordatura o tutt’al più - aneddoticamente - per le sue diatribe con Tartini. In realtà, come le dicevo poco sopra, la sua opera compositiva fu di gran lunga più apprezzata dai contemporanei.

Il frate, compositore e teorico vercellese Francesco Antonio Vallotti.

A questo vulnus storico si aggiunge una generalizzata diffidenza che si ha in ambiente musicale, ancor oggi, per personaggi eclettici e poliedrici. Sembra scontato che uno che sia stato un insigne teorico non possa essere stato altrettanto grande anche in altri campi. Personaggi come Vallotti forse ci fanno confrontare con la nostra mediocrità o con i  nostri orizzonti, a volte, un po’ troppo specialistici e  per certi versi “limitati”. Si pensi che molti colleghi e critici guardano con sospetto persino il “polistrumentista” (e nel mio piccolo… ne so qualcosa!), ma all’epoca il suonare, anche bene, più strumenti, il comporre musica e persino il saper progettare e/o realizzare un evento era quasi “la norma”!

Tornando a Vallotti, ciò che colpisce nella registrazione discografica dedicata alle Antifone Mariane è la loro scrittura brillante, incalzante, contrassegnata da una fluidità armonica e melodica, tali da rendere spazialmente tridimensionale, oserei dire squisitamente “teatrale”, la loro esecuzione, anche per via di un virtuosismo vocale che esula dalla restringente severità che il ruolo sacrale dovrebbe riservare. Questa resa esecutiva fa riflettere sul fatto che il “setaccio” romantico se da una parte ha rivalutato in terra germanica un autore come Bach attraverso Mendelssohn e Schumann, dall’altra in terra italica ha definitivamente seppellito e relegato nel dimenticatoio storico la figura di Vallotti, proprio per il fatto di risultare oltremodo “barocco”, quindi non al passo con i tempi. Non trova che il Romanticismo, in tal senso, in quest’opera di rivalutazione/svalutazione nei confronti di autori appartenenti al passato, appare alquanto contradditorio?

Come le dicevo lo stile fiorito, quasi galante, della musica di Vallotti lo immerge completamente nella sua epoca, ed è forse questa una delle concause che ne ha determinato l’oblio, che lo ha fatto includere in quella barbara e bigotta riforma di fine Ottocento, gettando nel dimenticatoio la sua opera. Ma teniamo ben presente che la riforma Ceciliana - nel suo bigotto fervore, teso ad  eliminare tutto quanto fosse considerato (in senso dispregiativo) “barocco” - non cancellò solo lui, ma tutti i grandi del barocco veneto. Anche Vivaldi ha dovuto attendere parecchio prima di essere riscoperto e le prime riesecuzioni e incisioni in chiave moderna ne snaturavano in gran parte la freschezza e le peculiarità stilistiche. La musica di Bach, con la sua monumentalità e universalità, forse si prestava meglio a essere più “naturalmente” ammirata, studiata e  compresa; più idonea a “passare” indenne attraverso tutti gli stili e i linguaggi, insomma a sconfiggere il tempo. Dopotutto, Bach ha sempre suonato bene pure sul pianoforte, su qualunque strumento moderno. E oggi suona bene pure sui sintetizzatori… e  non è un caso che la musica di Bach sia rimasta un modello per molti linguaggi musicali a venire: vogliamo parlare dell’importanza che ha assunto il linguaggio bachiano nel citato romanticismo o in generi come il jazz? Quindi non c’è, a mio avviso, svalutazione o una perdurante persecuzione, quanto forse proprio mancanza conoscenza e, per via dei cambi di gusto e stile, una più generica mancanza di comprensione.

Antonio Vivaldi, la cui musica orchestrale è stata riscoperta nel corso dello scorso secolo.

La sua opera di rivalutazione dell’opera musicale di Vallotti continuerà con altre registrazioni in un prossimo futuro, oppure il suo sguardo musicologico e interpretativo si andrà a posare su altri autori “scomodi” o che, come nel caso del musicista vercellese, meritano di essere giustamente riportati a galla?

Di compositori negletti, “scomodi” come lei dice, me ne sono occupato eccome nella mia vicenda artistica e discografica, producendo diverse prime assolute: Mancini, Fiorenza, Cervetto… Ma su Vallotti ho tante idee, ho acquisito molte altre sue partiture; sono cose grosse. Grandi produzioni… Organici anche estesi e impegnativi. Nella vita occorre sempre trovare la forza (le sostanze…) e il momento giusto per fare e realizzare tutto, spero che questo non tardi ad arrivare, ma ormai il dado è tratto: la rivalutazione di questo compositore e la riscoperta della bellezza della sua musica rimarrà ormai, per il mio percorso artistico e per gli anni che mi restano a venire, la missione che mi son dato. Dunque, viva Francesco Antonio Vallotti:  nunc et semper!

Andrea Bedetti